Lc 9,22-27. “Il Figlio dell’uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.
Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio”.
Non c’è luogo come internet per capire il significato effettivo delle parole che sta nella testa dei nostri contemporanei. Mi riferisco in particolare alla ricerca di immagini con Google. E’ un lavoro cui sono obbligato per l’impaginazione di questo giornalino. Scrivo una parola e subito mi compaiono centinaia di immagini ad essa relative. Non conosco i criteri della selezione di Google, ma più volte ho riscontrato la corrispondenza con ciò che per altra via m’è sembrato vero.
Provate per esempio a cercare le parole carità, amore, o pietà, solidarietà, e vedete se vi riesce di trovare una qualche foto in cui un nero fa un’opera buona verso un bianco. Non esiste, è l’uomo bianco che ama, ha compassione, fa del bene... all’uomo nero, giallo o verde.
E così è per la parola Pasqua. La Pasqua sono uova, colombe, pulcini e nastri. C’è anche un agnello e persino un quadretto con tre piccole croci nere che si stagliano su fondo tramonto rossastro.
Brutta introduzione ad un commento sulle parole di Gesù: “Il figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, venire ucciso”.
Brutta, ma non inutile perché attesta quanto il nostro mondo si sia allontanato da quell’originaria esperienza che fu la Pasqua di Cristo. Non è il caso di indagare qui le ragioni, ma fra queste non dev’essere estranea il rifiuto, lo scandalo che essa ha rappresentato e continua a rappresentare.
Oggi il figlio dell’uomo non deve soffrire molto, non dev’essere rifiutato dalle istituziioni politiche (stato), dai capi dei sacerdoti e dalla “saggezza” della scienza, non deve essere ucciso. Oggi anche il Cristo è venuto per dar manforte a chi si oppone e lotta perché il figlio dell’uomo non muoia.
Lo scandalo della Pasqua si è trasformato in pulcini e uova, spesso di cioccolato, che sono un po’ più omogene alle speranze del mercato di questo nostro secolo.
Si dice e si pensa che il cristianesimo sia in crisi; le chiese si svuotano, mancano le vocazioni, i matrimoni e i battesimi diminuiscono, per non parlare della cresima, sacramento d’iniziazione all’ateismo,... di Cristo si parla sempre meno.
In realtà forse non c’è mai stato un periodo in cui il Cristo parla all’uomo dall’alto delle croce in maniera così diffusa come nel nostro. Il Cristo dico non i media che generalmente sono omologati nella lotta per evitare il riprodursi dell’evento pasquale. Il Cristo parla però anche attraverso i media, portando nelle nostre case la muta sofferenza di migliaia, milioni di figli dell’uomo e succede spesso che ad ascoltarla non siano più i cosidetti cristiani, ma coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’agnello, coloro cui manca la veste “cristiana”.
E’ un guaio serio questa sfasatura tra ciò che appare e ciò che è, tra ciò che si crede e ciò che è. La fede sembra essere diventata una sorta di soggettiva idolatria in fantasmi di speranze vestiti di bianco senza ombre e senza macchie. E il cerchio si chiude in una sorte di paradosso, probabilmente non lo è, in cui nel nome del bene si mettono in croce i buoni. Si può, e accade sempre più di frequente, parlare del figlio dell’uomo anche senza appellarsi al nome di Cristo, ma per quanti vi si appellano come rispondono alla dichiarazione netta e precisa che il figlio dell’uomo deve morire? Quale risposta danno a un Dio che vuole la morte del suo figlio e quindi dei suoi figli? “Allontana da me questo calice”, ma “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta” disse nell’orto degli ulivi.
Certamente ci troviamo di fronte ad una delle questioni più difficili della teologia, ma semplicemente perché ci troviamo di fronte alla grande questione umana dell’incomprensibilità della sofferenza e della morte, soprattutto se violenta e ancor di più se innocente.
Come al solito non do una risposta, non la tento neppure essendo sufficientemente deluso dalle tante che l’uomo ha date nei secoli e alle quali spesso anch’io mi sono aggrappato. Resto sospeso ma non distratto e con il senso che un figlio d’uomo sulla croce non sia per lui il suo momento peggiore.
E’ brutto farsi domande e non dare una risposta? Per molti sì, per cui, se possono, le evitino.
Il ritorno liturgico della Pasqua ci possa aiutare a riconoscerla attiva e presente in ogni tempo e dovunque perché se la si vede, già si è consolati.