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Venerdì, 06 Giugno 2014 00:00

Ascensione

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Mt 28,16-20. Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Stranamente il vangelo di Matteo, come quello di Giovanni, non parla dell’Ascensione di Gesù. Forse non ne aveva avuto notizia (ed era cristiano ugualmente) o non la riteneva importante, ma non lo si può pensare. Forse la fa coincidere con le ultime parole del suo Vangelo: “Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo”. In questo caso non parla di salita al cielo, ma di permanenza sulla terra.
Siamo costretti a smontare un pezzo di quel castello che i secoli hanno costruito e che molti “cristiani” hanno ormai nella testa nella forma di un idolo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il linguaggio laico per definire questi castelli o questi idoli usa il termine paranoia e ultimamente anche ideologia. Si tratta dello sviluppo di un sistema delirante, permanente e incrollabile, accompagnato dalla preservazione di un pensiero chiaro (cioè non confuso) e ordinato (cioè non dissociato). Le emozioni e il comportamento sono adeguati al sistema delirante. I soggetti si considerano (per grazia) dotati di capacità uniche e superiori e sono disposti a pagare fino alla morte pur di mantenere il proprio pensiero. Piuttosto la morte, ma non il suo crollo.
Siamo fatti così e in queste cose pare che siamo senza scampo. Il delirio poi sembra esprimere la difesa contro una minaccia innafferabile e mortale. Potremmo addiritura definire l’uomo come quell’”essere che costruisce idoli e poi li adora”. Il delirio (l’idolo) fagocita ogni cosa, Dio compreso e soprattutto.
Naturalmente l’altrui ideologia la si contiene, la si sopporta e quando non si può far altro la si distrugge. Il problema resta per la propria, come uscirne senza sviluppare un ulteriore delirio?
Nella vicenda “pasquale”, abbiamo la figura di Giuda che, accortosi del disastro del suo delirio, si toglie la vita. Abbiamo gli altri undici che invece fanno l’esperienza della risurrezione della loro vittima e del suo innalzarsi fino al cielo.
Suppongo dunque che a questi pensieri siano arrivati gli apostoli, sia Giuda, sia quegli undici che in Galilea sul monte ascoltano il morto dirgli: a me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, … io sono sempre con voi. L’esperienza della risurrezione in che cosa è altro da un delirio?
Suppongo ancora che vi sia arrivato Cristo sulla croce, abbandonato da Dio e dagli uomini e che vi giungano i milioni di poveri cristi che quotidianamente hanno a che fare con la loro fine.
E’ di oggi la notizia che in Turchia circa duecento persone sono in fondo ad una miniera di carbone che si è incendiata e probabilmente non hanno scampo. Forse sono già morti e sono morti all’improvviso e subito, ma potrebbero essere ancora vivi e potrebbero passare alcuni giorni prima di morire. Se così è quali sono i pensieri che frullano nella loro testa in questi giorni? Chi incontrano a dirgli una parola di speranza? La “fortuna” dell’uomo è di avere un corpo fragile che piano piano morendo esaurisce la tragedia del pensare rendendola impotente.
L’uomo nella sua paranoia ha il tempo e lo spazio per essere “vitale” ed esprime ciò in tante forme, tanto che si può parlare di paranoie e di tante paranoie quanti sono i singoli uomini. E può riempire la sua paranoia di tante visioni della vita, compresa quella che si oppone decisamente a questo mio parlare, ma su tutte viene il suo essere “mortale” e a questo si inginocchia prostrato.
Che il morto parli (sia vivo, risorto, e abiti la vita nella sua pienezza, ascensione) è la testimonianza cristiana che ha la pretesa di essere detta ai mortali e rende loro innocuo il “pungiglione della morte”. E’ vero? Non è vero? E’ un’ennesima paranoia? Una delle tante? Essa chiama in causa la fede e non più la ragione a fondamento di se stessa, ma che cos’è questa fede?
I due, tre, dieci giorni che quei duecento turchi, presumibilmente musulmani, vivono a duemila metri sotto terra prima di morire saranno sostenuti dalla fede? E se fossero cristiani, qual è la fede che sa sostenerli? Quale Signore sentiranno vicino fino alla fine del mondo?
 Sono domande, legittime, credo, e che hanno il pregio o il difetto, nel loro porsi, di esporci alla nostra mortalità.
L’annunciarlo è testimonianza di speranza o di disperazione?

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