Un giorno chiesi a mio padre se aveva capito la predica di un certo vescovo. Mi rispose: “Costui crede che io creda a ciò che lui non crede”. Mio padre non sapeva che farsene delle parole, anche se dette bene. Senza saperlo non faceva altro che ripetermi, con sue parole, la parabola dei due figli. Eccola: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, vai oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Dicono: “L`ultimo”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.” (Mt,28.32).
Una comunità, un cristiano, un prete, un vescovo, muore quando c’è discrepanza tra ciò che annuncia e ciò che vive. La resurrezione è un evento che si deve vedere, toccare. Altrimenti è una illusione, un filmetto che ci facciamo a nostro uso e consumo. Il Risorto (Gesù) si presenta ai suoi non come uno spirito, una visione o un concetto. Mangia, si fa toccare. Tommaso vuole mettere il dito nelle sue piaghe, diventa carne visibile. Così una comunità che trasmette solo concetti è una comunità di parolai, non è visibile. Molte famiglie religiose si lamentano della mancanza di vocazioni, che non sia perché non è visibile tra loro il messaggio che predicano? Nel Risorto non c’è inseparabilità tra la parola e la vita. Gesù non ha consegnato il suo messaggio a dei dotti che ne avrebbero fatto una dottrina, ma scelse semplici lavoratori che raccontarono ciò che avevano visto e toccato.
Gli Apostoli hanno soprattutto predicato con la vita e non hanno usato parole difficili per portare la “Buona novella” ma sono: “stati sempre pronti a dare ragione della speranza che era in loro” (1Pt 3,15) mostrando con coraggio ed umiltà la loro effettiva povertà di fronte al grande messaggio che era stato loro donato. Sapevano di essere vasi fragili in cui era stato posto un unguento prezioso e non hanno avuto timore che altri potessero rompere il loro vaso.
Gesù è la Parola che si trasforma in carne viva, piange, soffre, muore, si fa toccare, dice che, quello che Lui ha fatto, possiamo farlo anche noi. Non è un filosofo di cui si può trasmettere il pensiero con dei libri. Chiede di annunciare il Vangelo non soltanto con discorsi intelligenti, perché questi sono, quasi sempre, discorsi astuti che fanno credere di essere capaci di catturare anime. Riempire le chiese non significa riempire i cuori.
Un bel discorso rimane un bel discorso se non spinge a cambiare vita. Già i latini sostenevano che: ”Verba volant exempla trahunt” Le parole volano gli esempi trascinano. La saggezza popolare aggiunge: “Dimmi che fai e ti dirò chi sei”. “Bisogna amare il Crocifisso”, è semplice dirlo. Difficile amare i vari crocifissi che vediamo tutti
i giorni. È facile cantare:” Dov’è carità e amore lì c’è Dio”, difficile la stima e, tanto più, l’amore reciproco. Parlo di stima che è il primo gradino su cui si posa la carità. Se non c’è stima come può esserci carità, verso chi non stimiamo? La carta di identità che Gesù ci ha data, facendoci riconoscere come suoi, è l’esempio di vita. “Tutti sapranno CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv13,35). San Paolo aggiunge: “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello STIMARVI A VICENDA”. (Rm 12,9). Leopardi argutamente sosteneva che: ”La stima è come un fiore, pestato una volta gravemente o appassito, mai più ritorna”. Pensate come sarebbe bello sconfessare Leopardi e dimostrare che il nostro amore fa risorgere la stima, il dialogo e la comprensione, sempre più convinti che ogni divisione è opera del demonio.
Dio non ha bisogno di ammiratori che applaudano, vuole coraggiosi e continuatori del suo progetto. Il ritorno a Lui non consiste nel farsi paladini di un’idea, sia pure splendida, deve piuttosto tradursi in impegno e inserire il fratello nel piano della creazione e della salvezza, cioè nell’opera di Dio per eccellenza.
Il culto di Dio è meno importante di quello verso l’uomo, visto che persino l’offerta sacra può essere rinviata od omessa del tutto. Dice infatti Marco (12,33) che “l’amore del prossimo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”, e lo ripete Matteo parlando della rappacificazione tra due persone: “Se dunque tu sei per deporre sull’altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa a tuo carico, lascia la tua offerta davanti all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, dopo verrai a offrire il tuo dono” (Mt. 5,23-24 e vedi anche: E.S.,San Domenico Il fascino di un profeta attuale, cap. III)
La predicazione dovrebbe far scaturire, in chi ascolta, quasi un senso di invidia che faccia gridare: “Guardate come si amano e come ci amano!”. Forse siamo o pensiamo di essere un p0’ troppo saggi, troppo prudenti o forse più semplicemente troppo vecchi. È più facile lasciarci portare dalla corrente che remare contro corrente. Mancano gli evangelizzatori. I più non ricevono l’annunzio della salvezza. Spesso ci limitiamo a predicare a quel numero esiguo che ancora viene in chiesa. È finita l’itineranza, la predicazione nelle piazze nei supermercati o dove sta la gente. Forse ci siamo trasformati in:
VENDITORI DI PAROLE
Bla bla...parole parole
Stratosfera inutile di suoni
Mummificata.
Ultimi belati da bare
Senza nome
Senza senso.
Antiche angosce
Mai perdute.
Sogni senza sogno.
Desideri senza spinta.
Slanci senza moto
Inutili vuote.
Aborto di una risurrezione
Neppure intravista.
Costruita su nuvole di morte
Su modelli di morte.
Parole parole.
Fili d’acciaio freddo
Tagliano l’aria.
Mulini senza vento.
Maschere preistoriche
Tribali.
Indossate da attori da strapazzo
Angosciosamente false.
Si muovono come marionette
Danzando fuori tempo
Con musiche senza melodia
Sgraziati.
Veleggiano rapide
Invadono il mondo.
Gramigna di verbi
Non pesate
Gettate a manciate.
Parole assordanti
Rombanti
Leggere o pesanti
Parole sferzanti
Illusorie pietose.
Cattedrali di aggettivi
Senza senso
Vuote.
E sacerdoti di parole
Officianti liturgie
Di veleno
Di morte.
Venditori di niente.
Soltanto parole.
FERMATI NELLA MIA CASA
Come un coro
Sale la musica
Della Tua presenza.
Il suono della Tua Parola
Frantuma i cancelli
Del tempo.
Sgorga copiosa la sorgente
Di carne e sangue.
Fermati questa notte.
Fermati ancora.
Ogni goccia del mio fiume
T’appartiene.
Fermati
Non andare.
Ti prometto che non crederò più
Alle parole che parlano di morte.
So che la conoscenza
Non viene dalla carta stampata.
So ch’è scritta da uomini
Senza carne e sangue.
So che non sono
Le idee e i discorsi
Che cambiano la vita
Ma l’immersione il battesimo
Nella carne e nel sangue.
So che una carezza
Vale più di un poema.
So che il sapere non serve
Se manca l’incontro.
Tutta la scienza
Non eguaglia un sorriso.
Se mancasse la Tua Parola
Fatta Carne
Che ne farei del moto delle stelle
Delle equazioni algebriche?
Neppure la primavera
Con le sue dolci distese di verde
Muoverebbe i miei passi.
Non gusterei il freddo d’inverno
L’ardore estivo
Il romantico autunno.
Fermati.
Per Te che vieni
Ho pronto
Il pane e l’olio.
Fermati
É Tua questa casa.
Tutto Ti appartiene.
Senza la Tua presenza
Niente ha valore.
Ti ho atteso
Mascherato d’allegria
Privato di gioia.
Ti ho atteso
In foreste di pietra
Appariscente
Falsa.
Fermati non andare.
FERMATI NELLA
MIA CASA.